Piccoli grandi trucchi di espressività vocale
Qualcuno forse si chiederà se davvero il Silenzio possa costituire il tema centrale di un articolo, in un blog che parla di Voce”…
Voi che ne pensate?
Io direi proprio di sì, visto che il suono nasce e si sviluppa “dal” e “nel” silenzio. Se non ci fosse il silenzio, la voce non avrebbe possibilità di farsi notare, così come, se non ci fosse il buio, non apprezzeremmo tanto la luce.
Il Potere del Silenzio, è anche il titolo di un libro di Castaneda, scrittore che amo… E allora cosa c’è di meglio che iniziare questo articolo con una sua citazione?
“Un uomo comune è troppo preoccupato di farsi piacere gli altri o di piacere a sua volta.” (C. Castaneda).
Il perché ho scelto proprio questa frase, te lo dirò più avanti…
Le cose che osserveremo in questo articolo sono valide non solo per la voce che canta, ma anche per la voce che comunica parlando.
Ho scritto queste mie riflessioni parimenti a beneficio dei cantanti e degli oratori, e di chiunque faccia della parola “detta” il principale veicolo di comunicazione professionale.
Troverete di seguito alcuni utilissimi suggerimenti per migliorare il vostro approccio con il pubblico!
Il Silenzio è d’oro …
… e la Parola, è d’argento, afferma un famoso adagio.
E questo vale per il parlato tanto quanto per la musica.
Non ne siete convinti?
Allora, per cominciare, vi invito ad ascoltare con attenzione la splendida intramontabile canzone di Simon & Garfunkel “The Sound Of Silence” (il link è per i più giovani, che forse non la conoscono).
Il Suono del Silenzio.
Anche il Silenzio è Musica, anzi, ne è uno degli elementi più pregnanti di emozione.
Il silenzio si alterna agli accenti per creare il ritmo, la pulsazione …
Ma non solo.
Il Silenzio è quel lago calmo e trasparente dal quale emergono le note di una melodia…
Oppure le parole di un discorso.
Ascoltate questa particolarissima interpretazione di Billie Holiday del capolavoro “I’m A Fool To Want You”, tratta dall’album Lady in Satin, del 1958.
(*)
Non è lo sfoggio di voce a rendere indimenticabile questo brano, ma l’intensità struggente, creata dal timbro vocale drammatico e sofferente, e da un’interpretazione che fa sapiente uso di “pause a effetto”, le quali creano un gioco di tensione che, per tutta la durata, alterna picchi e discese, senza mai scivolare nel banale né nel prevedibile.
Il canto, così come la parola, trovano nutrimento nel Silenzio.
Esistono pause obbligate, più o meno lunghe, già “predisposte” nella partitura del brano.
Nell’oratoria possono corrispondere ai punti, al punto e virgola, ai due punti o alle virgole. E’ ovvio che, giunti lì, ci si debba fermare un po’.
- Ma, quanto a lungo ci si deve/può fermare?
- Esiste la possibilità di eseguire (sì sì. Ho scritto proprio così: eseguire, anche se la pausa, essendo una non-azione, qualcuno potrebbe obiettare che non la si “esegue”) altri spazi di silenzio, ad libitum, all’interno di un brano?
A pesca di … attenzione
Vi sono speaker velocissimi nel parlare, come se fossero pagati in base al numero di parole che riescono a dire in un minuto. Può funzionare probabilmente nella radiocronaca di una partita di calcio. Dove non solo si deve stare al passo con il susseguirsi delle azioni, ma, per di più, non si stanno comunicando “concetti” di difficile comprensione, che necessitano di tempo per essere compresi.
Né si devono azionare leve persuasive.
Se volete, però, che i vostri ascoltatori colgano bene il senso delle vostre parole, parlare troppo velocemente non vi sarà certo di aiuto.
Avete mai fatto caso che, in certi annunci pubblicitari, vi spiegano a gran velocità le clausole svantaggiose della polizza assicurativa, oppure i trecento possibili effetti collaterali della pillola anti influenzale della quale vi hanno appena sottolineato a chiare lettere i pregi e le virtù?
In questi due casi la velocità serve proprio allo scopo di non farvi capire nulla di quello che vi viene detto. La strategia è quella di travolgervi con mucchi di parole che si accavallano talmente in fretta, rotolando le une sulle altre, che non si presta loro troppa attenzione e, comunque, non le si ritiene importanti.
La “formula inversa” è presto detta:
Niente pause, niente attenzione!
Ma se avete di fronte un pubblico (anche composto da una sola, speciale, persona) sul quale volete “fare colpo”, il vostro obiettivo è tutt’altro.
In questo caso VOLETE essere ascoltati.
L’attenzione la si cattura, ma soprattutto, la si mantiene.
Catturarla, non è poi così difficile. Ci si può riuscire anche con un urlo, con uno stile comunicativo aggressivo e basato sulla prevaricazione, ma, in questo caso, chi resterà affascinato dalle vostre parole? Chi proverà piacere nel continuare a seguirvi?
Se siete soliti vedere quei “talk show” o quei programmi di politica di bassa qualità, dove le persone sbraitano e alzano la voce, per imporre con la prepotenza verbale la propria idea e per cercare, al tempo stesso, di cancellare, sovrastare e rendere impercepibile l’opinione degli altri, quello che sto spiegando probabilmente vi sorprenderà.
Forse siete fautori dell’equazione “volume al massimo, uguale più attenzione”.
Probabilmente vi siete già abituati all’idea distorta che la ragione è di chi grida più forte.
Se così fosse, vi invito caldamente a non proseguire nella lettura.
Se invece vi piace mettere in dubbio i luoghi comuni, e pensare fuori dal coro, allora sarete d’accordo con me su quanto segue.
Ci sono due modi per farci notare: saltare addosso agli altri e colpirli con un pugno, oppure sfiorarli con eleganza e poi scivolar via…
Dipende dallo “stile”. Tocca a te decidere qual è il tuo.
Se la comunicazione è (anche) strategia, un sapiente uso delle “pause ad effetto”, cioè del Silenzio ben dosato, ne costituisce uno degli elementi più strategici.
Abbiamo in mano una delle chiavi della comunicazione assertiva e della seduzione.
Per sottolineare una parola o un concetto, un buona tattica è quella di:
- lanciare l’amo,
- sospendere il tempo, nel silenzio,
- infine tirare l’amo, concludendo il concetto.
A questo punto il tuo ascoltatore è catturato, preso.
E potrai verificarlo, giocando di nuovo con il prossimo silenzio. Ad ogni pausa strategica resteranno incollati alla poltrona, in attesa che tu concluda la frase.
L’incredibile potere magnetico della … suspense.
Certo, ci vogliono dei presupposti.
Ad esempio, che i tuoi ascoltatori, a sentirti, ci siano venuti spontaneamente.
Se ci sono stati costretti, come ad esempio i dipendenti che “partecipano” al corso di aggiornamento obbligatorio, non ti assicuro che funzioni. Ma ti assicuro che se, per giunta, il tuo eloquio è piatto e monotono, nessuno starà lì volentieri ad ascoltarti.
Lo stesso concetto vale per i cantanti. Una voce impeccabile di certo colpisce… per qualche minuto. Poi è la capacità di tenere legati a te i presenti che ti rende un interprete indimenticabile.
Ovviamente se vi trovate sul ring di un wrestilng verbale, come avviene in quei programmi televisivi di cui sopra, in certi dibattiti politici di pessimo gusto o, spesso, nelle aule di un tribunale, basarsi su un solido impianto concettuale potrebbe non essere sufficiente.
In simili contesti, dove è la forza con la quale riuscite a gridare, sovrastando le altrui voci, a garantirvi la “sopravvivenza” comunicativa, dovrete dosare le vostre pause strategiche, riservandole a quei brevi istanti dove il vostro antagonista è occupato a riprendere fiato…
Accendiamo i riflettori, ovvero: la pausa “strategica”
Non tutte le parole di un discorso hanno lo stesso valore, la stessa importanza e, dunque, lo stesso peso. Questo lo abbiamo già imparato a scuola.
Prendiamo ad esempio questa frase:
“Camminava, come se danzasse, esprimendo sicuramente la sua gioia di vivere.”
(Sergio Brunozzi: La fine della casta. Il sogno italiano)
In quanti modi diversi riusciamo a leggerla?
Tanti, ti assicuro.
E la differenza consiste nel tono di voce, nel timbro, nella velocità di lettura, nel modo di articolarne ogni sillaba, nell’andamento melodico della voce, nei volumi, nel ritmo che vogliamo esaltare e, appunto, nella scelta delle pause.
Una pausa prima, o dopo, una parola, mette inevitabilmente in risalto la parola incorniciata dal silenzio.
Si tratta di un piccolo silenzio, una specie di esitazione, che non denota affatto insicurezza, ma voglia di gustare appieno il “sapore” delle parole che si stanno per pronunciare.
E’ l’indugiare dell’intenditore che assapora un buon vino, trattenendolo per un po’ in bocca.
“Camminava (BREVE SILENZIO) come se danzasse, esprimendo sicuramente la sua (BREVE SILENZIO) gioia di vivere.”
Oppure
“Camminava come (BREVE SILENZIO) se danzasse, esprimendo sicuramente la sua gioia (BREVE SILENZIO) di vivere.”
Provate a sperimentare, e vedrete come le due modalità trasmettono una diversa qualità di comunicazione.
Silenzio è Potere
Se hai paura del silenzio, hai paura del suo potere. Del Tuo potere.
O di non averne affatto, di potere…
Ascoltate un attore di talento, un Gigi Proietti, ad esempio.
Egli domina la platea in modo indiscusso.
Impossibile staccare la spina dell’attenzione, quando qualcuno (ben pochi, purtroppo) ci parla così…
La tranquillità, la mancanza di paura, la sicurezza nel rapporto col pubblico vengono percepite in maniera intuitiva ed emozionale da chi ci ascolta.
Ci permette di aumentare la nostra capacità di comunicazione assertiva, il nostro potere di seduzione.
Il pubblico percepisce, anche se solo in pochi sanno far emergere questo dato a livello razionale, se chi ci sta di fronte, sul palcoscenico, si trova a suo agio, a disagio.
Semplicemente il pubblico sa, intuitivamente, se l’artista (o l’oratore) è sicuro di se, o se ha paura.
Esattamente come un cane “sa”, cioè “percepisce”, se l’uomo che gli passa accanto teme i cani oppure no.
E’ l’istinto animale che lavora.
Non la ragione.
L’istinto è molto più potente della ragione.
L’istinto sa, perché lo porta impresso nella memoria plurimillenaria del suo DNA, che dal silenzio qualsiasi cosa può emergere…
Il silenzio, perciò, acuisce i sensi.
Chi è a disagio naturalmente tenderà ad assumere un determinato atteggiamento, una postura, un timbro di voce ben diversi da chi, invece, sente pienamente in suo potere il rapporto col suo pubblico.
Chi è a disagio ha paura dei silenzi, ha paura delle pause, e farà di tutto per accorciarle e/o evitarle.
Dal punto di vista dell’ascoltatore, il risultato è che un certo artista, o oratore, ci attrae.
Oppure non ci attrae.
Ma come mai molte persone sono “terrorizzate” dal silenzio?
La Vertigine, ovvero: perché il Silenzio ci fa paura
Fateci caso.
Chi è a disagio, tende a fare poche pause, a parlare velocemente per sfilarsi il prima possibile da una situazione percepita sgradevole o pericolosa.
Il bisogno di fare o dire “qualcosa” a tutti i costi, sovrasta e travolge chi ha paura del silenzio, del fermo immagine.
Chi si sente sulle spine, non vede l’ora di fuggire, è naturale.
Dimenticando che, in certe circostanze, il “non fare” ci dà più potere dell’affannarsi in modo compulsivo, del preoccuparsi a mettere in atto una qualsiasi azione, pur di non rimanere fermi o in silenzio.
Ricordi la frase di Castaneda che ho citato in apertura?
“Un uomo comune è troppo preoccupato di farsi piacere gli altri o di piacere a sua volta.” (C. Castaneda).
Che cosa ha a che vedere con la difficoltà che proviamo nei confronie del Silenzio, nostro o altrui?
Quando siamo preoccupati di “piacere a tutti i costi”, il silenzio spaventa.
Nel silenzio si aprono scenari ignoti, che ci turbano e mettono a rischio l’immagine che gli altri potrebbero avere di noi, l’immagine che abbiamo di noi stessi, e l’immagine che potremmo farci noi degli altri.
Se taccio per un istante, cosa penseranno di me?
Che sono insicuro? Che non so cosa dire?
E in quell’istante potrei forse giocarmi la loro attenzione?
E se il silenzio mi facesse perdere l’attenzione del mio interlocutore, come potrò catalizzarla di nuovo sulle mie parole?
Le persone davvero dotate di presenza e carisma si distinguono anche da questo.
Non hanno paura dei momenti di silenzio. Anzi, se ne servono per farsi percepire ancora più potenti.
Chi gestisce il silenzio e non se ne fa gestire, è al comando.
E’ come l’alpinista che sosta, sicuro e sereno, sul ciglio del baratro, immune dall’attrazione magnetica del salto nel vuoto.
Non se ne lascia ighiottire, e nemmeno se ne ritrae spaventato.
Semplicemente… STA.
E gode di quella sua posizione che racchiude insieme potere ed emozione.
Significa essere potentemente vivo nel presente.
Nel “Qui ed Ora”.
Chi sa gestire le pause, chi è amico del silenzio, nella musica come nel public speaking, è in grado di emozionare il suo uditorio.
Come cantante, ho potuto osservare all’opera diversi accompagnatori.
E ho potuto constatare che molti di loro hanno paura dei respiri dei cantanti.
Hanno paura delle pause.
Tendono ad accorciarle.
A contare con maggior velocità quelle pause, come se avessero paura di farle durare il loro giusto tempo.
Soffrono di vertigini di fronte a una pausa che duri “troppo”.
Si domandano cosa farne di tutto quel silenzio.
Se per caso non si tratti di tempo “sprecato”…
E si affrettano ad andare oltre, a proseguire. Non vedono l’ora di riprendere a suonare.
Chi ha sperimentato il cantare da solista con l’accompagnamento di uno strumento, sa bene di cosa parlo.
Meno bene lo sanno certi chitarristi, o pianisti frettolosi, che sono il tormento di molti cantanti, ai quali tendono a “togliere il respiro”!
Anche se, beninteso, ci sono molti cantanti che davvero esagerano, con le pause…. Ma questo è un altro argomento!
La ricetta giusta?
Spesso le persone mi chiedono come vada dosato il silenzio, quando si parla in pubblico, o come vadano eseguite le pause, mentre si interpreta una canzone.
Naturalmente non esiste una formula matematica.
In musica, le pause sono quasi sempre scritte.
Ma questo non significa affatto che la modalità di esecuzione è data per scontata.
E neppure significa che non possiamo “rubare” altrove dei piccoli silenzi per infondere più pathos all’interpretazione.
Qualche pennellata di silenzio, qua e là, sapientemente elargite, lasciano l’ascoltatore in tensione, incuriosito e desideroso di ascoltare il resto.
E’ una spezia, e come tutte le spezie, insaporiscono, ma solo se sono dosate con attenzione.
Anzi, direi, con arte.
Quella stessa arte che appunto, nella musica, rende un semplice esecutore ben diverso dal grande interprete.
(*) Billie Holiday – Immagine di pubblico dominio di Gottlieb, William P., 1917-, photographer. [Portrait of Billie Holiday, Downbeat, New York, N.Y., ca. Feb. 1947